Il mio sarà un " amarcord " in cui si intreccerà una parte di esistenza famigliare con un luogo unico al mondo e con la sua gente. Naturalmente serve la precisazione che questa non ha la pretesa di essere storia, ma semplicemente una cronaca della mamoria e del suo spirito, nella speranza che nessuno si adombri per le molte dimenticanze, i salti temporali le inesattezze e via dicendo. Non so quelo che risulterà alla fine e se qualcuno dei famosi dieci lettori ci si raccapezzerà, ma certamente questo resoconto avrà per me un valore doppiamente consolatorio: mi aiuterà a pagare un piccolo debito per le cose non dette e non fatte, nei confronti di un "posto" nel cui cimitero riposano appunto i "nostri morti", ma anche a lasciare la mia piccola nipotina Rosaluna una traccia che la riguarda. Si potrebbe cominciare con il classico "c'era una volta ... " perchè la complicazione è proprio nella difficoltà di fissare con una certa precisione l'inizio di una cronistoria che si dipana lungo decenni e i cui protagonisti, nella maggior parte dei casi, non ci sono più per raccontarla direttamente e renderla così più autentica. L'avvio del nostro racconto può essere collocato indicativamente attorno agli anni '20 del secolo appena concluso. E' nel corso di quel periodo che Fellicarolo entra a pieno titolo nella vita dei Bossetti, a cui scrive queste righe ha finito più tardi per appartenere, diventando la terra di Fellicarolo perte integrante e forse conclusiva della sua vita. Perchè è proprio il nome di questa famiglia, ritratta nell'unica fotografia di grupporitrovata qui di seguito riprodotta con i nomi dei suoi componenti, che proverò a muovere per combinare i tasselli della nostra piccola cronaca.
In realtà sono due le famiglie, perchè i destini dei Bossetti si incrociano con quelli dei Sola: forse è appropriato parlare di destino perchè entrambi i nuclei famigliari non erano montanari nè originari per qualche ragione di queste parti, ma si incontrano in questo luogo pur venendo ambedue dal capoluogo Modenese. Credo, pare certo, che la seconda famiglia della storia abbia conosciuto Fellicarolo "in primis". Una cugina maestra, dalla quale un ricercatore di mestiere probabilmente potrebbe trovare traccia in qualche registro scolastico, era destinata a insegnare nella frazione fellicarolese, a quei tempi abitata da piu di un migliaio di persone distribuite negli insediamenti del centro, delle Formiche, delle Gagnane di Sopra e di Sotto, degli Anselmi, della Vacchiella, del Poggio, della Borra, di Cà Re, di Casuglie, per dire le borgate principali, e delle case sparse che si incontravano salendo verso i displuvi e dividono le valli di Fellicarolo e dell'Ospitale o verso il crinale Appenninico. Si può presumere possa essere stata anche la cugina maestra (che alloggiava a Casa Parri, a pochi passi della scuola che funzionò fino agli anni '60, fino a quando fù costruita la nuova scuola, vicino alla chiesa di S.Pietro, scuola che da qualche anno non esiste più), a fungere da anello di congiunzione tra il piano e il monte. Del resto i Sola che incroceranno il destino cui facevamo cenno, in una traversa del centro storico di Modena, possedevano la rinomata trattoria "Il Fantino", gestita dalla madre Annetta Rossi Sola, che era rimasta vedova di Silvio Sola, morto per via della "spagnola", con i figli piccoli Giuseppina Alberto Augusto e i figliastri Fernanda e Peppino, tutti sulle sue spalle. Probabilmente in quella trattoria, per suggerimento presumibile della cugina maestra, ci andavano a mangiare i montanari quando scendevano in città per sbrigare le loro cose o per visitare qualche figlio in collegio. Sull'altro versante, Albano Bossetti, il pater familias ritratto nella fotografia, usciere presso il Banco San Geminiano e San Prospero di Modena, con alloggio all'ultimo piano del fabbricato che guardava la piazza XX Settembre, forse venne in contatto con Fellicarolo proprio in ragione del suo ufficio che gli consentiva di conoscere tante persone e sicuramente anche i pastori della montagna che avevano preso a depositare i soldi presso la banca modenese. Alla cessazione del lavoro e con la liquidazione maturata, Albano Bossettidecise di comprare una casa a Fellicarolo, una casa che servisse per le vacanze di tutta la famiglia, poichè il luogo era di alta montagna , forse perchè bello e salubre, forse perchè acquisto nell'immaginario famigliare per via dei resoconti verbali di qualcuno o di qualche escursione diretta. Stà di fatto che la famiglia Bossetti, il giorno 2 gennaio 1927, davanti al Dott. Dario Monari, Regio Notaio di Fanano, compra una "casa di pietra" nella borgata di Cà Re, un chilometro e mezzo passato Fellicarolo.
Era l'unica casa libera della zona perchè tempo prima vi era successa una tragedia: le notizie sono quelle che sono, pare che un giovane montanaro, tornato dal militare, si fosse portato dietro una bomba a mano e che, per uno stupido gioco, l'abbia scagliata contro l'albero antistante la piccola corte provocando uno scoppio che uccise la sua ragazza, figlia di chi occupava la casa, e causò la perdita di una gamba ad Artemio, un amico di famiglia che abitava in paese. L'accaduto spinse la famiglia ad emigrare in Svizzera così la casa restò abbandonata. I tre giovani Bossetti cominciarono a vivere il tempo di Fellicarolo: conoscono le sorelle Guidarini ( Clema e Evelina, casualmente montanara la prima, francese l'altra perchè la loro famiglia si era trasferita in Francia e la madre Ersilia faceva la vivandieraper i compaesani e non espatriati in quel paese per lavorare ). Nello Monari, Giovanni Bellettini, Arturo Guidarini ( che poi dirigerà l'ufficio postale posto al piano terra della sua casa ), la Laura di Casa Ietta, Oreste Pellegrini, Checco Lancellotti ... ... Fellicarolo era raggiungibile da Fanano per mezzo di una strada sterrata che seguiva l'andamento del torrentee poi, all'altezza del ponte in pietra ad un arcata costruito dopo l'abbattimento di quello vecchio che stava più o meno di fronte all'Arsicciola e al Mulino della Stefana, si inerpicava verso il paesino. il resto del territorio era percorribile solo con le mulattiere. In paese c'era la locanda dei Menozzi dove si fermavano a mangiare i carbonai che il carbone che preparato in serralta lo portavano con i muli a Fellicarolo per accatastarlo nel pendio sotto la chiesa di San Pietro.Uno dei primi anni '30, Giuseppina Sola venne in vacanza a Fellicarolo venne in vacanza con la famiglia e la cugina maestra. Li accompagnava, con la sua automobile, il cavaliere Maglietta, che a Modena era un noto agente assicurativo, e che, al ponte, non voleva proseguire perchè spaventato dalla brutta salita. Li vide Mario Bossetti, il quale, saltato sul predellino dell'auto, guidò la compagnia dei villeggianti fino al paese. Fu così che si incrociarono i destini delle famiglie: Mario conobbe Giuseppina, si fidanzò con lei e la sposò. Annetta Sola, la suocera di Mario, con la sua esperienza di cuoca, insegnò ai Menozzi della locanda, cioè alla Pasqua e a sua figlia Elda (che poi sposerà Nello Monari), piatti diversi (la polenta non più di farina di castagne ma di frumentone; il ragù di carne; il pesto dei tortellini...) il secondogenito dei Bossetti, Alfonso, a Modena aveva frequentato l'istituto d'arte e fatto parte dell'ambiente culturale della città: conobbe Marinetti e partecipò come "aeropoeta" al movimento futurista (cfr. il volume-catalogo della mostra "Futurismo in Emiglia Romagna" a cura di Anna Maria Nalini, Artioli Editore in Modena 1990), fu amico di vari artisti modenesi come Elpidio Bertoli (che gli fece un ritratto di cui si è perso traccia), Ferruccio Venturelli, Mario Molinari, Pedron, Malavasi, con loro e altri intellettuali frequentava il caffè Boninsegna, collaborava a "Il Resto del Carlino e La Gazzetta di Modena" con gli articoli, in diversi dei quali, come il lettore vedrà in altra parte del presente fascicolo parla del territorio fananese, di Fellicarolo, delle cascate del doccione, dei castagni, delle piante officinali, dei narcisi o dei rododendri che in giungno fioriscono sui pendii del libro aperto. In un certo senso i Bossetti e i Sola divengono una avanguardia "piangian", quelli della pianura. Si tirano dietro parenti e amici che come loro si innamoreranno del paese, per le sue caratteristiche ambientali, per la piacevolezza del territorio, per la possibilità di fare vacanze ed escursioni gradevoli. Fare il nome di Dottor Diunigi Mari, del professore Giorgio Buccolari, dei bruni, dei Ferrari, degli Obici, dei Tricoli, di Mario Barozzim (che poi ad Ospitale costruì una piccola centrale elettrica) è solo pleonastico perchè l'elenco divenne lunghissimo in quanto ampliato per estensione esponenziale dagli altri nuclei fammigliari, che so, quelli delle sorelle Giudarini, dei Corsini, dei Lancellotti, dei Pellegrini, di quanti cioè avevano lasciato il paese trasferendosi altrove, a Torino, a Bologna, a Roma, a Milano, nel Ferrarese o in Romagna. Torniamo però al tempo che fu. Scoppia la guerra. Maria Silvia Bossetti, figlia di Mario e Giuseppina, a quattro anni, viene sfollata nella casa di Cà Re con la nonna paterna Pia e lo zio Alfonso, una settimana prima del natale di guerra. Anche di quel periodo diamo cenni per flashes. L'ambiente del paese era caratterizzato dalla gran catasta di carbone sotto il pendio della chiessa e del piazzale, credo non molto diversi da come sono oggi, con la presenza nuda e cruda del monumento ai Caduti della Prima Guerra. La strada vecchia si fermava ai bordi dell'abitato. Le case, la locanda Menozzi, che diverrà Albergo Ristorante Cimone (ora Rondinara), quella su cui crescerà l'altro ristorante, l'Appennino, gestito dai Bertinasco (dalla Saturnina e dal figlio Franco, mentre l'altro figlio Enzo si dedicherà aall'attività collegata alla raccolta dei prodotti del sottobosco) non erano altro che bicocche basse con i tetti coperti dalle "piagne", con il gabinetto esterno, con l'acqua da attingere alla fontanella del paese. La Pasqua e l'Elda Monozzi portavano avanti la locanda, mentre il vecchio Aldo Menozzi, dopo aver fatto, in una botteguccia, sull'altro lato della strada, scarpe e scarponi per i compaesani, si era dato al commercio di formaggio, perchè Peppin Monari detto "Manara", padre di Nello e suocero dell' Elda, aveva le pecore al Serretto. Per questo Mario Bossetti li aveva messi in contatto con la drogheria Fini di Modena, ma il giorno in cui Menozzi stava recapitando un partita di pecorino a Fini, fu fermato dalla polizia annonaria che, poichè la vendita del formaggio era razionata, della qual cosa lui non era a conoscenza, gli confiscò il prodotto e lo mise in galera per qualche giorno. In paese c'era la casa di Corsini, un po più sopra quella di ottorino e Maria, dirimpetto la vecchia posta della "mitica" Zaira, poi la quinta delle case della borgata Parri dove stavano Lidia la sarta e il marito calzolaio, emigrati più tardi negli Stati Uniti, la Norina e Artemio, che faceva il barbiere ma anche il falegname di casse da morto e di "careghe" o dondoli con lo schienale in pelle di pecora. A pochi passi da Casa Parri ci stava la scuola. Di lì un sentiero portava a Casa Pietro, un altro al ponte di Gian Matè e a Cà Betlemme dove vivevano Edvige, Anna, Alma, e un fratello, tutti i figli di "Tanaia", mentre di fronte abitava "Truvela", sposo di Agnese, morto suicida nella stalla.
Più avanti, seguendo il fosso della Viaccia si raggiungeva Cà Re dove i Bossetti avevano appunto comperato casa vicino a quella di Poldo e Assunta Nesti, genitori di Antonietta, Gemma, Nilde, Nera e Severina; lì stavano anche Messimo e l'Olinda, parenti del ragazzo morto di meningite mentre era militare...Poi si trovavano Casa Baiocchi, Casa Ietta, Casa Bruciata, poi il Colombano, così chiamato perchè nel 1400 vi si era fermato proprio San Colombano, poi Casuglie e i Fossi. Non c'erano più i castagni, iniziavano le Faggete, mentre, oltre il torrente, il versante delle montagne era brullo e la vegetazione non copriva come ora le "Piagge", che, sul finire della guerra, consentirono ripari sicuri a disertori e partigiani vicino alla passo della Finestra o alla Castellina. Abbiamo fatto questi cenni ambientali della zona sotto il Cimone, ma sarebbe stato uguale se avessimo citato altri sentieri e altri insediamenti, che so, il Serretto, la Borra, il Poggio:abbiamo voluto evidenziare che il luogo era ampiamente abitato da tanti nuuclei familiari e da tanti bambini, che, nonostante la presenza della guerra - siamo negli anni 1941-42-, frequentano la scuola posta a Casa Parri, scendendo dalle borgate e dalle case sparse. Ci sono classi diverse e Maria Silvia Bossetti si ritrova insieme ai "montanarini", alla Marisa, a Lino di Casa Mucci, alla Maria Josè (chiamata da sempre Pepette) e Luciana Utelle, figlie dell'Evelina Giudarini, anche loro sfollate da Torino, presso la nonna Ersilia, nella casa costruita dai Guidarini nel 1917, poco sotto la chiesa di San Pietro, dopo che avevano venduto quella di Casa Parri. I soldati tedeschi che presidiavano il paese erano sistemati nella centrale casa della Marchesa, a pochi metri da quella dell'Ersilia (nella cui stalla tenevano i muli), ma erano dislocati anche a Casa Re. Quando inizia la Resistenza, le case delle borgate vengono fatte sgomberare dai tedeschi e la quasi totalità degli abitanti viene concentrata, per evidenti ragioni di controllo, in paese. Alfonso Bossetti trova posto nell'edificio della posta, presso la Zaira, mentre Maria Silvia e la nonna Pia sono ospitate in casa dell'Ersilia. In quel frangente, questo è un vero e proprio rifugio per tanti: infatti ci stavano anche un ebreo francese (sic!), vedovo con due figli, un gioielliere napoletano con moglie, due figlie e un nipotino di tre anni che morì di difterite nonostante il tentativo del medico tedesco di operarlo per consentirgli la respirazione. Nella stalla sottostante i bimbi andavano per i loro bisogni. L'ultimo dell'anno (l'Ersilia fece gli scarpaccioli!) le due ragazze napoletane trovarono il modo di suonare il piano che forse la famiglia si era portato dietro lasciando Napoli così come il loro padre si era fatto seguire dall'amante, sistemandola in una casa di Sestola, cosa che per il disguido di un foulard personale venduto al collo della fedifraga provocò le ire della legittama consorte, con botte e vestiti strappati, proprio sul sagrato della chiesa, dramma della gelosia nel dramma della guerra. Nella cucina dell'Ersilia si riunivano un pò tutti, per scaldarsi e chiaccherare, anche i soldati tedeschi tra cui un certo Lucas, bravo a disegnare paesaggi di montagna. Buscavano facilmente i pidocchi, per cui si dovevano frizionare con il petrolio. "Pepette", la maggior parte degli Utelle, qualche volta veniva trovata ad armeggiare attorno alle munizioni depositate nella cantina. Qualcuno degli sfollati, allo scopo di recuperare materiale per la stufa, provò a fare un tunnel sotto la gran catasta di carbone requisito dai tedeschi, ma il cunicolo crollò e quella persona fu tirata fuori salva per miracolo. Mangiavano polenta e patate, ma riuscivano ad avere un pò di latte e il pane, preparato settimana per settimana nei forni comuni delle borgate. La neve veniva a metri e Maria Silvia Bossetti provò l'ebrezza di due assicelle di legno in forma di sci realizzate per lei dallo zio Alfonso. I genitori, Mario e Giuseppina erano rimasti sempre a Modena e raggiungevano Fellicarolo quando potevano. Passò anche più di un anno, tanto che un paio discarponcini fatti in città per la bambina non andavano più bene. Quella volta erano partiti dal capoluogo con la bicicletta e una valigia e fecerò un viaggio che durò dall'alba a notte inoltrata. Maria Silvia si lasciò a dare la sua bambola cittadina di pannolenci ad una nipotina dei Nesti di Cà Re, a casa dei quali lei e la nonna andavano a passare la notte per maggiore sicurezza, dopo il pericolo trascorso presso l'Ersilia, in cambio di lana per calze. La bambina, che, benchè ancora piaccina, si muoveva ormai con molta disinvoltura nei dintorni, non volle più andare dalla Santa, alla Casa Bruciata, a prendere il latte, perchè un giorno in quella casa, davanti al fuoco del camino, trovò un giovane modenese, un partigiano sceso dai nascondigli delle "piaggie", il quale, venendo a sapere che era cittadina, le disse che aveva studiato all'Istituto Sacro Cuore, che faceva la guerra ai tedeschi e che le avrebbe regalato una collana fatta con le orecchie di soldati uccisi. Qualche montanaro cercò di evitare il rastrellamento dei tedeschi scappando, al di là del crinale, oltre la linea gotica e verso la Toscana. Un certo Osvaldo morì per lo scoppio di una mina disseminata lungo il tragitto. Lo stesso Alfonso Bossetti aveva superato le montagne per salvarsi e raggiungere Firenze già liberata dagli alleati. Anche Oreste Pellegrini, dopo l'8 settembre, si rifugiò a Fellicarolo. Oreste portava il nome dei Pellegrini, un'altra vecchia famiglia fellicarolese, che abitava alla Chiesa Vecchia con sei figli. Di questi uno, diplomato ragioniere, perse la vita in un gorgo del torrente di Fellicarolo; un'altro Ulisse, padre di Oreste Giuliano e Margherita (che morì, nel milanese, investita da un'autocorriera), se ne era andato a Milano per fare carriera nelle Poste (per inciso, furono proprio i Pellegrini a portare a Fellicarolo, nella casa davanti alla locanda Menozzi, il procacciato, ovvero l'ufficio della posta), un'altra Pellegrini divenne suora e andò a fare la missionaria in Cina. Il personaggio di spicco della famiglia era Don Giuseppe Pellegrini, lo zio prete, parroco a Vesale (la boccia di sasso che è sul campanile della chiesa fu pagata e montata da lui in persona), a Castelnuovo Rangone, poi a Vignola (qui c'è una via intitolata a lui) dove acquistò Palazzo Barozzi e attivò un caseificio per finanziare le opere della sua parrocchia; quando morì nel 1952 (per un incidente forse dubbioso) il suo funerale fu seguito dalle bandiere rosse dei comunisti, anche perchè era stato coinvolto nella Resistenza.
Dicevamo prima di Oreste Pellegrini: essendo andato militare dopo che a Milano aveva frequentato il Liceo Parini e la facoltà di Legge, scoppiato l'armistizio, si era trovato presso l'Accademia Militare di Modena, così fuggì e raggiunse il paese di origine, ma a Fellicarolo fu ripreso e condannato per diserzione dei tedeschi. Lo grazio Kesserling attraverso l'interessamento dello zio prete, ma fu comunque spedito a Lubecca, dove accetta di essere addestrato, insieme ad altri italiani, per una missione paracadutata poi nell'Alto Piemonte, occasione che gli consentirà di scappare e di riunirsi ai partigiani della Val Maira. Ma anche per il territorio montano quel periodo divenne il più drammatico. Basti ricordare che Giuseppina Bossetti, venuta da Modena in corriera per rivedere la figliula, al ponte di fanano, lungo il viale alberato dell'Arbergo Firenze, ebbe la drammatica visione di un gruppo di uomini impiccati dai tedeschi per rappresaglia contro un attentato in cui erano stati uccisi alcuni loro soldati. Nella primavera del 1945 finalmente la guerra finisce e si può ritornare alla vita. Fellicarolo e la sua gente ripresero a curarsi delle ferite più o meno gravi che quel tempo aveva prodotto in ognuno, a ritrovare gli originali ritmi di vita, ma anche a guardare al futuro con occhi nuovi e diversi. I fellicarolesi tornarono ai lavori legati alle tradizioni del luogo e alla montagna. Qualcuno se ne andò via a cercare altre occasioni, i più ridiedero vita alle case e ai rapporti consolidati da un passato comune per appartenenza al luogo o per legami parentali; tornarono i vecchi villeggianti, ne vennero dei nuovi e scoprirono cos'era e com'era Fellicarolo. Per molti dei protagonisti della nostra altalenante cronistoria, che ha suo modo ha tentato di dare un minimo di ordine ai ricordi, ai racconti, ai piccoli resoconti sentiti nel corso degli anni da chi firma questo pezzo, Fellicarolo riprende ad essere, o diviene, viaggio verso le origini, luogo di vacanza, di villeggiatura e di escursioni montane. I tre piccoli Bossetti (e ovviamente i loro genitori) ritratti nella fotografia ora non ci sono più. Terminata la guerra, Mario e Giuseppina continuano a vivere e a lavorare a Modena e mantengono uno stretto contatto con Fellicarolo, conservando la vecchia casa di Cà di Re e, più tardi, costruendosene una nuova sulla strada di Fanano a qualche centinaio di metri dal paesello. Ubaldo, il chimico, e la sua famiglia si spostano più volte, per ragioni legate al lavoro, in diverse località del Nord Italia, mentre Alfonso, una decina di anni dopo la fine della guerra, si trasferisce, si può dire definitivamente, nel paese delle felci e vive per gran parte dell'anno, da solo, nella "casa di pietra" di Cà Re. Alfonso mancherà ancora qualche collaborazione letteraria e giornalistica, ma aiutato dal fratello Mario e dal comune amico Barozzi attrezza quella che era il salottino della "nonna" trasformandolo in camera oscura per sviluppare e stanpare pellicole fotografiche. Fa anche il fotografo per i turisti e qualche altro lavoro, ma la sua passione restano il territorio fellicarolese, a cui dedica una gran quantità di scatti fotografici,e soprattutto i suoi interessi artistici, gli studi sulla farmacopea, sulla flora e la fauna, in particolare sulle erbe medicinali e sulle farfalle. Ci tiene a mantenere stretti rapporti con i vecchi amici, con chi si ricorda di lui e con quanti, in tempi diversi, hanno vissuto come lui, per origini natali, per scelta o per casi della vita, un rapporto profondo, viscerale, personalissimo con Fellicarolo e la sua gente. Alfonso Bossetti, sia pure con il suo carattere schivo, riservato e talora scontroso, vivrà da fellicarolese con i fellicarolesi suoi coetanei, ma anche con i giovani e i vecchi del paese, ritroverà nei suoi giorni e nelle sue memorie, molti di coloro che mi è stato possibile citare in queste pagine e quanti non sono riuscito a ricordare, ritroverò Giuliano Pellagini, fratello di Oreste, e sua moglie Josè, che, pur vincendo e lavorando a Milano, mantennero legami fortissimi con Fellicarolo e, con Alfonso, rapporti di grande amicizia e di solidarietà concreta, accogliendo nella loro bella "casa di pietra", già alla Chiesa Vecchia, consentendogli il rito di un amicale caffè o di una cena, alla fine della quale Alfonso, vestito spesso di bianco con una sua eleganza un tantino snob, si adattava divertito alla rigovernatua della tavola e delle stoviglie insieme agli amici e alla Stella che a quel tempo si occupava delle faccende di casa; ritroverà Clider Benazzi (e la Maria, con il codazzo dei loro sei gemelli), a lui vicino per il suo amore verso la storia passata del paese a cui nel 1979 dedicò una raccolta di notizie storiche (vedi Fellicarolo di Fanano Cronache e Storia a cura di Benazzi Clider); ritroverà l'Anna di Casa Ietta, zia di Pietro, Giovanni Bellettini, l'amato stradino di Fellicarolo, sua moglie Antonietta e i loro figli, tra cui la Santina che di Alfonso fu amica fino all'ultimo, Marisa Germano e Ugo di Casa Baiocchi, gli Uguccioni (Bartolomeo e Walter, il quale per anni ebbe la falegnameria in un locale a ridosso della chiesa parrocchiale), Gregorio e Pietro, la Pierina di Artemio e suo marito il "maestro", Elio che suona ancora magnificamente la fisarmonica gli "americani" Bebbe e Secondo, i Corsini di Casa Norra, Giuseppina di Casa Baroni (ricca di ricordi legata alla non lontana strada "romea" che conduceva i pellegrini verso la valle di Ospitale e la Toscana, oggi trasformata in ristorante con una magnifica vista verso il Cimone), i Monari, giù agli Anselmi, il padre cieco che aveva fatto anche l'orologiaio e vari figli tra cui Rino che vive a Fanano e che oggi, con la moglie e il figliuolo, ha ripreso la tradizione fellicarolese della tessitura con l'utilizzo di un telaio settecentesco interamente di legno, Don Silvio, Padre Faustino, la perpetua Anseride, la Ventura che cantava in chiesa, Noto Bertinasco e i figli, Federico Pellegrini della "Teggia", tornato al paese dopo aver fatto il minatore in Belgio, Enrico "Chiodo" Cantelli, la Leontina di Casuglie, Arrigo, marito dell'Olinda, morto per una caduta dalla Vespa lungo la strada di Fanano, Anito e la Santa (nella casa d'angolo di piazza Parri), Evangelista il "francese", l'Aldegonda solitaria abitatrice dell'ultima borgata Anselmi, l'Annunziata del Mulino di San Rocco, Giuseppe "Iusfa" il raccoglietore di funghi, Giovanni delle Formiche, la Wanda figlia di Ottorino, il maresciallo degli Anselmi, il cui figlio pilota militare veniva a volare basso sulla valle del Fellicarolo, Emilio Utelle, i Locusti, i Lancellotti, Frido e Ildo, Amerigo i fratello dell'Elda, la Rosina, Giacomo della Casa Bruciata, Dionigi, Aristide, Tonio e la Maria della Gagnana di Sotto, "Frasca", Ferdinando il Comandante, Antonio e...
Rosaluna, la mia nipotina di tre anni e mezzo, guardando la fotografia del "ricordo", appesa ad una parete del salotto di Fellicarolo, mi ha chiesto insistentemente dove erano, anzi dove erano andate quelle cinque persone. A lei ho detto, come in una riga precedente di questo racconto, che esse non ci sono più, anche se ad una bambina piccola non è facile e forse possibile fare percepire il senso della perdita e della morte. Io spero solo che un giorno, quando leggerà quete pagine, scoprirà che qualcosa di quel che c'è scritto non è "finito" e che appartiene per sempre anche a lei. Sarà questo per me il più sentito premio, nel nome di Fellicarolo.
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